Come ottimizzare il Setup con la telemetria su Automobilista 2

Come ottimizzare il Setup con la telemetria su Automobilista 2

Ciao Top Driver!

Oggi, con il Setup and Telemetry Specialist UniSimRacing Massimo Zecchinelli, scoprirai come ottimizzare il Setup con la telemetria su Automobilista 2.

Vedremo insieme come modificare e ricercare il miglior setup della monoposto con l’ausilio della telemetria. 

Prima però di iniziare a parlare di setup e telemetria, sappi che è fondamentale padroneggiare le corrette tecniche di guida.

  • Trail-Braking
  • Aggancio con il gas
  • Conoscenza e rispetto dei punti di frenata
  • Capacità di seguire linee ideali coerenti
  • Utilizzo di tecniche efficaci in ingresso, percorrenza e uscita.

La coerenza è la chiave: se in un giro freniamo 20 metri prima e in quello dopo 20 metri in ritardo, nessun setup potrà davvero aiutarci. 

La telemetria può mostrarci tantissimo, e le regolazioni dell’assetto possono darci vantaggi preziosi, ma solo se la nostra guida è già solida e ripetibile.

Prima la tecnica, poi la tecnologia. 

Solo così potremo sfruttare davvero tutto il potenziale della macchina e dei dati.

Detto questo, possiamo cominciare con il lungo approfondimento di oggi.

Come ottimizzare il Setup con la telemetria su Automobilista 2

Introduzione della combinazione auto-pista presa in esame

A bordo della BMW M Hybrid LMDh sul circuito di Daytona, valuteremo il comportamento della vettura in pista in diversi stint per poi analizzare i dati raccolti, modificando di volta in volta i parametri del setup per ottenere una vettura bilanciata ma al tempo stesso competitiva.

Il layout "Road Course" di Daytona è un banco di prova affascinante per le vetture LMDh.

Un mix tecnico e impegnativo che alterna lunghi tratti ad alta velocità con curve sopraelevate (i famosi banking dell’ovale da 2.5 miglia per la NASCAR) a sezioni lente e nervose, dove si costruisce davvero il lap time.

Il tracciato si apre e si chiude con lunghi tratti in pieno, dove le LMDh possono sfruttare al massimo la potenza ibrida e l'efficienza aerodinamica.

Sebbene il setup in questi punti dovrebbe favorire basso drag, per massimizzare la velocità sul banking e nei rettilinei, come detto è nella parte centrale del tracciato, tra curva 1 e curva 6, che si valuta la bontà della prestazione dell’auto e del pilota.

Questo settore comprende la International Horseshoe e una serie di curve medio-lente che richiedono trazione, precisione in frenata e bilanciamento meccanico impeccabile.

Qui si guadagna (o si perde) il tempo sul giro, e trascurare questa zona nella configurazione della nostra monoposto può compromettere l’intero stint.

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Un aspetto spesso sottovalutato di Daytona è il fondo molto sconnesso in alcune zone, in primis nel tratto che porta a curva 1 e dentro la “Bus Stop”. 

Le LMDh, che non dispongono di ABS ma solo di controllo di trazione (TC), soffrono molto in queste condizioni. 

Un bloccaggio in staccata è sempre dietro l’angolo, quindi il setup dei freni (bias e pressione) va tarato con grande attenzione, e la modulazione del pedale deve essere davvero fine.

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Analisi Primo Stint

Iniziamo il primo stint utilizzando l’assetto di default.

Le gomme scelte sono medie ed il carico di benzina è di 70 litri, la quantità necessaria a percorrere 20 giri.

Le uniche due modifiche effettuate, riguardano l’angolo di sterzo ed il valore dell’ala posteriore che viene impostato a 2, proprio in considerazione dei lunghi tratti veloci del tracciato.

In questa prima run ci concentreremo sui dati relativi alle gomme, quindi valuteremo se le temperature di esercizio sono corrette e l’impronta a terra massimizzata, prima di iniziare a modificare altri parametri del setup.

La temperatura dell’aria è di 17 C° mentre quella della pista si attesta intorno ai 25 C° ed in queste condizioni le coperture medie hanno bisogno di almeno un paio di giri per accendersi ed iniziare ad offrire un grip valido.

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Dopo aver completato 7 giri, il miglior crono è stato di 1.35.159, con un tempo di attacco di 1.38.5 ed un errore al 5°giro alla Bus Stop dove siamo finiti in testacoda in uscita.

Questo a causa dell’instabilità dell’auto nei cambi di direzione veloci, qualcosa su cui dovremo indagare.

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A fine stint il widget delle coperture ci restituisce dei valori rassicuranti.

Non c'è traccia di overheating ed i valori nelle tre fasce dello pneumatico sembrano corrette. 

Ora, analizziamo il grafico relativo alle temperature medie delle gomme in relazione alla performance (G combinati ovvero la somma dei g laterali e longitudinali).

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Un approccio molto utile per analizzare le gomme è quello di osservare dove si concentrano i punti (cioè dove le gomme passano più tempo), verificando come varia la performance (accelerazioni laterali/longitudinali) in funzione della temperatura e si cerca un range termico stabile e produttivo (cioè senza cali di grip visibili, né picchi isolati).

Entrambi i grafici mostrano una concentrazione molto densa di punti in un range ben preciso:

  • per le anteriori il grosso dell’attività è tra i 75 e gli 81°C
  • mentre per le posteriori il range principale è tra i 78 e gli 85°C.

Questa alta densità suggerisce che le gomme stanno lavorando quasi tutto il tempo in questo range.

Questa è la zona operativa naturale.

Non si notano cali netti o decadimenti prestazionali dopo queste temperature.

Infatti, le gomme non sembrano andare in overheating.

Il posteriore lavora a temperature più alte dell’anteriore (circa +5°C di media), il che è coerente con il layout del tracciato.

Per cui, tolti i lunghi tratti in pieno, è un tipico circuito rear-limited nel tratto lento centrale che mette sotto stress le coperture posteriori.

I valori sono ben distribuiti e non si notano scompensi che indichino problemi gravi di bilanciamento termico.

Verifichiamo ora nel dettaglio la distribuzione delle temperature nelle tre fasce dello pneumatico.

Per prima cosa, dobbiamo scegliere il punto del tracciato ideale dove leggere i dati.

Considerata la natura mista del circuito ed il senso antiorario con cui si gira qui, l’asse di destra è il più stressato. 

Tuttavia l’impronta a terra degli pneumatici esterni dell’asse di destra sui curvoni col banking lasciano il tempo che trovano visto che sono tratti flat-out.

Da scartare anche l’idea, proprio per via della presenza del tratto interno all’ovale, di un setup asimmetrico.

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Quindi il punto ritenuto più importante è la Bus Stop, dove abbiamo bisogno di tanto grip laterale per portare quanta più velocità e precisione possibile.

Se i valori dell’asse di destra appaiono validi ed all’interno del range ideale, lo stesso non si può dire di quello sinistro.

In particolare, la posteriore mostra un valore centrale troppo elevato, sintomo che i PSI sono eccessivi (motivo per il quale, verificata anche le Temperature di Pressione, decidiamo di sgonfiare le gomme posteriori).

Mentre quello anteriore mostra un divario troppo elevato di temperatura tra fascia interna ed esterna, pertanto dovremo ridurre la campanatura.

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Conclusa l’analisi preliminare delle nostre coperture, ci concentriamo sull’aerodinamica e sui rapporti delle marce.

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Se escludiamo i 3 punti in cui la vettura spancia sull’asse interno a causa dell’elevato banking dei curvoni dell'ovale, nel tratto rettilineo prima della Bus Stop notiamo come ci sia davvero tanto margine per abbassare le altezze di marcia tanto all’anteriore quanto al posteriore.

In questo modo sarà possibile guadagnare downforce senza però aumentare il drag.

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Quando si parla di bilanciamento dinamico della vettura, è essenziale considerare come il carico aerodinamico si distribuisce lungo il telaio, rispetto alla distribuzione statica delle masse (peso).

La distribuzione del peso è fissa (salvo variazioni carburante), e dipende da progettazione, layout motore, posizione cockpit, ecc.

La distribuzione del carico aerodinamico invece è variabile, in base a rake, ali, diffusore, altezza da terra, velocità e assetto.

Il Center of Pressure (CoP) rappresenta dove agisce la forza aerodinamica totale, lungo l’asse longitudinale della vettura.

Il CoP dovrebbe trovarsi circa 5–10% più indietro rispetto alla distribuzione del peso, e questo per garantire stabilità ad alta velocità, sfruttando il fatto che le forze aerodinamiche aumentano con la velocità e influenzano il comportamento dinamico in modo crescente.

Pertanto, nel nostro caso specifico (BMW LMDh) con una distribuzione del peso del 46% all’anteriore e del 54% al posteriore, un CoP stabile ideale si dovrebbe aggirare tra il 59% e il 64% al posteriore.

il punto ideale per analizzare i dati aerodinamici (carico, drag, CoP, ecc.) è alla fine del rettilineo più veloce.

Qui, di solito, la vettura raggiunge la velocità massima nel giro e quindi il massimo effetto dinamico dell’aria sulla carrozzeria.

Questo è fondamentale perché tutti i carichi aerodinamici (downforce e drag) crescono in modo quadratico con la velocità.

In altre parole: più vai veloce, più l’aria genera carico.

Quindi, più il comportamento aerodinamico è rilevante e misurabile.

È, in sostanza, il momento ideale per valutare l’efficienza aerodinamica, perché il contributo aerodinamico è dominante rispetto a quello meccanico (che conta di più a basse velocità).

Supponiamo di essere flat-out, in condizione lineare, con setup piatto e stabile.

Così, leggiamo con precisione:

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  • IL RAKE STATICO EFFETTIVO A VELOCITÀ MASSIMA
  • IL CARICO ANTERIORE/POSTERIORE
  • LA PRESSIONE AERODINAMICA TOTALE (E SUA DISTRIBUZIONE)
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Dati alla mano, un CoP del 56% indica una tendenza sovrasterzante della vettura.

Questo non ci stupisce.

Con il setup di default non abbiamo sentito alcuna sicurezza nei tratti veloci come la Bus Stop, dove il CoP scende addirittura al 7% con il carico posteriore quasi del tutto inesistente.

Il tutto a causa dell’elevato rake positivo, che indica come il retrotreno si sia alzato tantissimo in fase di frenata.

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Per questo motivo andremo a ridurre l’altezza posteriore da 75 a 70mm cercando così di recuperare un po’ di carico non tanto nel dritto, quanto nelle curve veloci.

Analizzate gomme ed aerodinamica, ci concentriamo sui rapporti del cambio.

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Per prima cosa calcoliamo la cosiddetta “power band” ottimale del motore, ovvero l’intervallo di giri motore in cui il propulsore sviluppa la maggior parte della potenza, in modo costante e sfruttabile in pista.

Dai grafici telemetrici si osserva come la curva di potenza inizia a salire attorno ai 5300–5500 RPM ed aumenta fino a circa 7000–7200 RPM.

Il picco massimo si raggiunge intorno a 7350–7500 RPM, con punte di 660–670 hp.

Oltre i 7600 RPM, si intravede una leggera discesa o plateau nella potenza.

Per definire una power band utile, dobbiamo prima identificare l’inizio del range in cui la potenza sale in modo deciso e resta elevata, e poi la fine, dove la potenza si stabilizza o inizia a calare.

Basandoci sui dati appena visti, possiamo identificare l’inizio della power band intorno ai 5800–6000 RPM, dove il motore comincia a superare i 500 hp in modo stabile.

Tra i 7500–7600 RPM invece la potenza raggiunge il picco e poi inizia un leggero calo o plateau pertanto possiamo prenderla come punto finale.

Definita la power band, sappiamo che dovremo impostare i punti di cambiata tra 7200–7600 RPM per restare nel range dopo ogni cambiata, ma anche che dovremo regolare la marcia finale ed i rapporti intermedi per far rientrare le ripartenze dalle cambiate sopra i 6000 giri.

Consapevoli di questi valori, passiamo ad analizzare il grafico relativo agli RPM in relazione alla Velocità, così da capire se il cambio tiene il motore nella power band, se i punti di cambiata sono corretti e se i rapporti marcia sono coerenti con le caratteristiche del motore.

Se dopo ogni cambiata i giri al minuto scendono sotto i 6000, allora vuol dire che stiamo uscendo dalla power band e perdiamo in accelerazione.

Se cambiamo marcia prima dei 7300–7500, stiamo sprecando potenza disponibile.

Se infine sconfiniamo oltre i 7600 giri, non stiamo guadagnando velocità, anzi siamo entrati nella fascia del calo della curva di potenza.

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La prima marcia è irrilevante: c’è un solo campione presente, e i giri si fermano tra i 5200 ed i 6000.

Del resto è una marcia utilizzata solo in partenza, quindi non incide in alcun modo sulla dinamica della vettura.

La seconda marcia mostra un comportamento critico.

Parte da circa 5000 RPM e arriva fino agli 8000. 

Questo significa che dopo la cambiata si scende ben al di sotto della soglia minima di 6000 RPM della power band, compromettendo la prontezza in uscita curva.

Inoltre, si prosegue oltre i 7600, quindi anche il punto di upshift è troppo ritardato.

In pratica, si lavora troppo tempo sia sotto che sopra la zona ideale di rendimento del motore.

Pertanto o dobbiamo accorciare la marcia, oppure dobbiamo anticipare la cambiata dalla prima per rientrare nel range ottimale.

La terza marcia ripropone lo stesso scenario. 

Anche questa oscilla tra i 5000 e gli 8000 RPM: troppo in basso in ingresso, troppo in alto in uscita.

È evidente che anche qui si sta sprecando potenza, sia all’inizio (dove il motore è pigro) che alla fine (dove la potenza cala).

Anche questa marcia ha bisogno di una revisione per accorciarne il range operativo e mantenerlo più centrato nella power band.

La quarta marcia è migliore, perché inizia attorno ai 6500 RPM, quindi già dentro la power band.

Tuttavia, termina oltre gli 8000 RPM, superando quindi il limite massimo utile del motore.

In questo caso non è necessario modificarla, ma può essere utile anticipare il punto di cambiata o regolare il rapporto in modo da contenere il regime entro i 7600 RPM, evitando over-revving e sfruttando meglio la curva di potenza.

La quinta marcia si comporta in modo molto simile alla quarta.

Inizia intorno ai 6400 e termina verso i 7900 RPM. 

È appena più contenuta, ma comunque sfora sopra la zona ideale.

Anche qui un leggero accorciamento o un anticipo del punto di cambiata porterebbe beneficio, pur trattandosi già di una marcia abbastanza ben posizionata.

La sesta marcia, invece, è centrata. 

Lavora tra 6300 e 7600 RPM, sfruttando tutta la power band senza sforare. 

Questo significa che il rapporto e il punto di cambiata precedente sono ben calibrati.

Nessun intervento è necessario.

Anche la settima marcia, infine, è ottimale.

Si muove tra i 6500 e i 7500 RPM, sempre all’interno della power band, ed è perfetta come marcia finale in rettilineo.

L’auto sfrutta bene la potenza residua del motore senza superare la zona utile, garantendo massima efficienza in velocità massima.

In sintesi, le marce 2, 3, 4 e 5 richiedono attenzione.

Le prime due scendono troppo sotto i 6000 RPM dopo la cambiata e arrivano oltre gli 8000, risultando inefficienti in entrambe le fasi.

Le marce 4 e 5 sono già più corrette in ingresso, ma sforano troppo in alto. 

Al contrario, la 6ª e la 7ª sono impostate per sfruttare il potenziale del motore e non necessitano variazioni nel loro settaggio. 

Per evitare troppe modifiche ai rapporti però, scegliamo di ridurre la marcia finale con un duplice scopo.

Oltre a sistemare il cambio, puntiamo a raggiungere velocità più elevate sacrificando l’accelerazione dato che il motore ha meno spinta a bassi RPM proprio a causa del moltiplicatore finale più "pigro".

Nel pratico, questa scelta si traduce con un auto che sarà più lenta a prendere giri alle marce basse e medie, perdendo qualcosa in accelerazione fuori dalle curve lente, ma guadagneremo (si spera) in velocità massima.

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A livello di pressione dei freni, valutata la presenza minima di bloccaggi, optiamo per aumentare di 5 punti percentuale la pressione massima.

Infine, per terminare la prima analisi, dopo avere verificato i cosiddetti segni vitali della vettura, riduciamo l’apertura del condotto dell’aria del motore, considerando che le temperature di acqua ed olio sono molto basse, sperando così di guadagnare ulteriore velocità andando a ridurre il drag.

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Come ultima modifica, considerate le difficoltà di stabilità in frenata, decidiamo di diminuire i valori di engine braking per ridurre l’effetto di extra rotazione in ingresso.

Qui fai attenzione perché nel menù del setup salendo con i valori RIDUCIAMO l’effetto e non il contrario.

Bene Top Driver, come procede con la lettura?

Se è tutto ok, possiamo proseguire con la seconda parte dell'articolo su come ottimizzare il Setup con la Telemetria su Automobilista 2.

Come ottimizzare il Setup con la telemetria su Automobilista 2

Analisi Secondo Stint

Dopo aver effettuato tutte le variazioni al setup, scendiamo in pista per la seconda run, cercando di spingere per migliorare il lap time e testare la bontà delle modifiche apportate.

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A fine stint il cronometro mostra dei miglioramenti incoraggianti, con un best di 1.34.5 e diversi giri sul 34, con un tempo di attacco di ben due secondi più veloce del test precedente (1.36 contro 1.38), segno che la direzione intrapresa è quella giusta.

Al fine di semplificare e facilitare la lettura dei grafici, ricordiamo che i valori in verde (sia linee di tendenza che numeri) rappresentano sempre i dati del nuovo setup, mentre quelli colorati fanno riferimento allo stint precedente. 

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Le rilevazioni delle temperature I-M-O mostrano un miglioramento sul fronte della distribuzione del calore, seppure l’anteriore sinistra appare ancora fuori range, costringendoci a diminuire ancora il camber per il prossimo tentativo.

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Le temperature generali di esercizio sono aumentate, ma ce l’aspettavamo visto che abbiamo diminuito le pressioni ed iniziato a spingere di più.

Tuttavia i dati ci confortano mostrando lo stesso identico pattern ma con valori di temperature medie più elevati. 

Considerando che le gomme medie hanno una finestra di utilizzo centrale intorno agli 85°C, siamo all’interno della working window.

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Mettendo a confronto i grafici delle Temperature di Pressione notiamo un significativo miglioramento dei dati (soprattutto per la posteriore sinistra che era quella più critica) ora più vicini al valore ideale di 0.

Sta a significare che le gomme non sono né sgonfie né troppo gonfie e, sebbene ci sia margine per lavorare in asimmetria con l’anteriore sinistra, decidiamo in ogni caso di lasciare i settaggi così.

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Passiamo ora nuovamente al setaccio altezze e bilanciamento aerodinamico.

Come previsto, le nuove altezze ci hanno permesso di scendere con il posteriore senza rischiare alcun bottoming del fondo.

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Il CoP non ha mostrato variazioni significative nel punto più veloce del circuito (dove però contrariamente a quanto sperato abbiamo perso qualcosa in velocità di punta perché ancora troppo carichi).

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Per questo motivo nel terzo stint proveremo a scendere di 1 click sull’ala posteriore tentando di recuperare un po’ di carico scendendo con l’altezza del retrotreno di altri 5mm.

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Migliore è la situazione nella frenata della Bus Stop, dove l’auto è apparsa più stabile e meno prona al sovrasterzo nella sterzata in ingresso, ma ancora non ideale nel comportamento.

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Per quanto riguarda i rapporti del cambio, grazie alla modifica della marcia finale, i nuovi dati mostrano un netto miglioramento.

La seconda marcia rimane ancora al limite inferiore, anche se è evidente che l’accorciamento ha migliorato la parte finale, ma non ha risolto del tutto il problema della cambiata dalla prima.

Come detto prima però, considerato che la prima viene utilizzata esclusivamente in partenza, la seconda diventa di fatto la “prima vera marcia”.

Pertanto non ha molto senso preoccuparsi del cambio marcia che porta alla seconda, perché non si verifica mai in pista (salvo errori del pilota).

Ha molto più senso concentrarsi su come la seconda marcia termina e su come entra la terza: la dinamica reale che abbiamo poi in pista.

E proprio la terza entra ancora un po' sotto i 6000, ma molto meno rispetto a prima.

E soprattutto non supera più gli 8000 RPM: ora si ferma intorno ai 7700.

È ancora un filo oltre il limite massimo ideale, ma molto più controllata.

ll cambio marcia è più centrato e si sfrutta meglio la parte centrale della power band.

La quarta marcia è perfetta, entra precisa nella power band, parte da 6000 giri e termina dove deve.

L’intervento sulla marcia finale ha riallineato il rapporto della quarta al comportamento ideale del motore.

Nessuno spreco né in basso né in alto.

Anche la quinta marcia è ottima: è più corta della quarta e lavora nella fascia utile. 

Grazie alla marcia finale accorciata, ora non ha più una “coda” fino agli 8000 giri come prima.

La sesta e settima marcia, già buone in precedenza, sono state ottimizzate anche loro, ed ora più contenute e coerenti con la curva potenza.

L’intervento sulla marcia finale ha funzionato.

Ora il cambio è molto più coerente con la curva di potenza reale del motore, con le marce che dalla quarta in su sono allineate e sfruttano tutta la fascia utile. 

Anche la terza è migliorata, mentre la seconda è l’unica a rimanere ancora penalizzata in ingresso ma, come detto, è un dettaglio trascurabile.

È il momento di verificare anche la meccanica della monoposto, in particolare molle e barre antirollio, per cercare di stabilizzare la nostra monoposto nei tratti lenti e nei cambi di direzione veloci, dove soffre ancora di sovrasterzo.

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Per farlo possiamo utilizzare uno strumento utilissimo, vale a dire il roll gradient o gradiente di rollio, un grafico che ci restituisce la misura di quanto la carrozzeria si inclina lateralmente (rollio) in risposta all’accelerazione laterale, ed è espresso in gradi per ogni G.

Questo grafico viene utilizzato per valutare la rigidezza del telaio e delle sospensioni in curva, mostrando quale asse, anteriore o posteriore, è più rigido e in che misura.

Un roll gradient basso indica una vettura più rigida e reattiva (e visivamente restituisce una linea più piatta).

Uno alto una più morbida e incline al rollio (in questo caso la linea sarà più ripida e meno piatta).

Ciò è fondamentale per bilanciare il comportamento tra sottosterzo e sovrasterzo e per ottimizzare l’aderenza tra asse anteriore e posteriore.

Il roll gradient può essere utilizzato come una cartina tornasole del bilanciamento meccanico.

Se i valori rilevati corrispondono a un comportamento dinamico soddisfacente, possiamo prenderli come riferimento e cercare di ricostruirli anche in condizioni diverse, intervenendo su molle e barre antirollio.

In questo modo è possibile modificare la risposta dinamica (più stabilità, più aggressività, ecc.) senza alterare il bilanciamento generale della vettura.

Per capire come, apriamo una piccola parentesi per spiegare come la maggior rigidezza di un asse rispetto all’altro possa modificare il comportamento dinamico della nostra auto.

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Sappiamo che in curva il carico si trasferisce dalle ruote interne a quelle esterne, ma dobbiamo considerare che è influenzato da:

  • Massa
  • Accelerazione laterale 
  • Altezza del baricentro
  • Carreggiata dell'auto.

Non c’è traccia di molle o di barre antirollio nella formula.

Per capire meglio come sia possibile, ci aiutiamo con la formula per calcolare il trasferimento di carico laterale TOTALE:

Il trasferimento del carico totale non è altro che la somma del trasferimento del carico sull’asse anteriore e sull’asse posteriore.

Questo vuol dire che c'è una distribuzione del trasferimento di carico che la parte anteriore realizza rispetto alla parte posteriore.

Ed è questa che è influenzata dalle molle e dalle barre antirollio.

In modo semplificato, possiamo affermare che irrigidire le molle o le barre antirollio su un asse comporta un aumento del trasferimento di carico laterale su quell’asse, e una riduzione su quello opposto, dato che il trasferimento totale di carico resta invariata.

Questa è ciò che viene chiamato "distribuzione della rigidezza laterale".

E dato che l’asse più rigido oltre ad attirare (o spostare) verso di sé il trasferimento di carico, riduce anche la capacità totale di aderenza a causa della load sensitivity, sarà anche quello che inizierà a perdere grip prima.

Pertanto, se l’asse più rigido è quello anteriore si genera sottosterzo, mentre se lo è il posteriore si ha sovrasterzo.

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Ed è proprio questo il nostro caso: non sorprende quindi il comportamento sovrasterzante dell’auto, dato il retrotreno più rigido.

Restando in tema, il grafico della distribuzione della rigidezza laterale, è un altro strumento eccellente.

Come facilmente intuibile dal nome, ci mostra proprio la distribuzione della rigidezza (e quindi del carico) laterale.

Un valore che indichi un’auto meccanicamente bilanciata in curva si attesta intorno al 55%, con valori più alti che indicano un comportamento più sottosterzante e più bassi sovrasterzante.

In ingresso alla Bus Stop siamo addirittura al 25% e le successive variazioni sempre orientate verso il sovrasterzo.

Decidiamo perciò di ammorbidire la barra antirollio posteriore, nel tentativo di ottenere una monoposto più sicura e prevedibile spostando il trasferimento di carico più verso l’avantreno, così da farlo “cedere” prima che il retrotreno perda aderenza, evitando bruschi sovrasterzi.

Passando oltre ed analizzando i dati della velocità di rotazione degli pneumatici, notiamo un Traction Control troppo aggressivo che entra in funzione anche quando siamo su tratti in pieno e quando stiamo parzializzando il gas bene.

Per questo, abbasseremo il valore del TC di due punti, cercando di ritrovare più rotazione in aggancio del gas e maggiore potenza da scaricare a terra.

Considerando anche l’eccessiva instabilità in frenata, verifichiamo il grafico del differenziale.

I dati mostrano che tende a sbloccarsi troppo, tanto in frenata (lasciando che le ruote motrici ruotino a diversa velocità eccedendo così nella extra rotazione) quanto in accelerazione.

Analisi Terzo Stint

Per questo motivo decidiamo di diminuire gli angoli di rampa tanto della power ramp che della cost ramp, aumentando il grado di bloccaggio del differenziale e, al contempo, aumentare i valori di precarico per ridurre la facilità con la quale il differenziale passa da bloccato a sbloccato.

Possiamo dire con certezza che le modifiche aerodinamiche non hanno portato i miglioramenti sperati.

I tempi si sono alzati e l’auto è instabile nei tratti veloci.

Le velocità di punta sono aumentate di appena 1 kmh, un valore esiguo che non giustifica un approccio così aggressivo con l’ala posteriore.

Decidiamo di riportare l’ala ai valori originali, lasciando le altezze più basse di 5mm.

I valori di temperatura I-M-O sono soddisfacenti ed in alcuni casi migliorati, ma l’anteriore sinistra non vuole saperne di collaborare. 

Considerato che c’è ancora del margine scendiamo ancora con i valori di camber come ultimo tentativo, dopodiché accetteremo il fatto che l’anteriore sinistra lavorerà fuori range.

Confrontando il roll gradient, scopriamo che i valori al posteriore non hanno subito modifiche nonostante avessimo ammorbidito la barra posteriore.

Questa situazione può sorprendere.

Ci si aspetterebbe che ammorbidire il posteriore renda l’auto più cedevole in rollio (quindi rollio maggiore, non minore).

Invece, i dati mostrano il contrario. 

La riduzione dell’altezza da terra al retrotreno ha abbassato il baricentro del veicolo, e quindi anche i centri di rollio delle sospensioni (punti attorno a cui la carrozzeria tende a ruotare in rollio). 

La conseguenza principale è che l’auto avrà un minor rollio e quindi abbiamo un roll gradient più basso.

Tuttavia, questo non implica il fatto che l’auto sia più rigida nel senso assoluto, ma che la nostra monoposto rolla meno a parità di accelerazione laterale. 

Il che, considerato che stiamo parlando di una monoposto ad elevata downforce, è quello che cerchiamo.

In ogni caso, ennesimo plauso agli sviluppatori di Reiza Studios per aver implementato anche questo aspetto nella fisica delle auto.

La distribuzione del carico laterale sembra essere migliorate tanto in fase di inserimento che nel cambio di direzione, quindi da questo punto di vista abbiamo colto nel segno.

Il confronto del differenziale mostra un netto miglioramento, tanto in frenata che in trazione.

Tuttavia, per ricercare ulteriore stabilità generale aumentiamo di nuovo il valore del precarico, ammorbidendo inoltre le molle posteriori (senza irrigidire la terza molla considerato che c’è ancora molto margine per l’altezza da terra).

La scelta di non intervenire sulla altezza da terra anteriori è una scelta ben precisa.

Sebbene sarebbe più corretto ridurre al minimo il drag diminuendo l’area frontale (e quindi adottando un’altezza da terra minima e zero rake ad alta velocità), data l’attuale instabilità della monoposto abbiamo deciso di evitare modifiche invasive e di lasciare l’altezza di default.

Dando una rapida occhiata ai dati sugli ammortizzatori, non sorprende che questi mostrino già una curva a campana perfetta.

Questo considerato che, a differenza di altri titoli come ACC, AMS2 è sempre stato un simulatore in cui quando modifichiamo gli ammortizzatori otteniamo un effetto prevedibile.

Tornando al setup, sebbene di norma si ricerca la cosiddetta bell curve negli istogrammi (in virtù del fatto che una vettura bilanciata, è di solito anche una vettura prevedibile da guidare, perché tutti e quattro gli angoli lavorano insieme in armonia), un buon istogramma non è un obiettivo fine a sé stesso.

Una volta ottenuto un buon istogramma ed una buona comprensione della dissipazione infatti, si può anche deviare da un istogramma perfetto, e questo perché ogni vettura è diversa e anche gli stili di guida variano da pilota a pilota.

Pertanto optiamo per irrigidire valori di compressione lenta all’anteriore e quelli di rimbalzo lento dei posteriori, con lo scopo di stabilizzare la piattaforma aerodinamica in frenata.

Analisi Quarto Stint

Nell’ultimo stint, al netto di un errore al 4° giro, il lap time è stabile sul 34 fino a scendere sul 34.3 (2 decimi più veloce con oltre 3 litri di benzina in più come peso) e con l’auto molto più prevedibile nei comportamenti.

Vediamo allora le differenze registrate in telemetria nel confronto tra il primo e l’ultimo stint.

Le temperature I-M-O sono migliorate sia per la distribuzione del calore che per le temperature di esercizio più centrate.

L’anteriore sinistra rimane un filo oltre il limite ma non rappresenta un problema.

I rapporti del cambio sono all’interno della power band, eccetto per la seconda marcia, ma è qualcosa che, come detto in precedenza, si può ignorare.

La velocità di punta è ridotta di 1 kmh, sia per la marcia finale più bassa, sia per il rake più negativo che genera più drag alle alte velocità.

Il CoP risulta essere più basso nonostante gli sforzi per ottenere un bilanciamento più sottosterzante, ma in fase di ingresso alla Bus Stop ora i valori sono molto più consoni e rendono le reazioni dell’auto prevedibile.

Anche la distribuzione della rigidezza laterale ci restituisce dei valori confortanti nel confronto, l’auto è bilanciata anche se non ancora perfetta.

Quello che abbiamo appena visto è solo un assaggio del lavoro che si può fare con setup e telemetria.

Grazie allo studio dei dati abbiamo abbassato il lap-time di ben 8 decimi, seppure ancora con un ampio margine a disposizione tanto per il setup che per il pilota, considerato anche il fatto che non abbiamo toccato elementi cruciali, ma siamo appena all’inizio.

Non abbiamo ancora messo mano a componenti come l’altezza anteriore, convergenze, condotti dei freni, ripartitore di frenata, bump stop, terze molle, e sugli ammortizzatori abbiamo solo sfiorato la superficie. 

Tutti questi strumenti possono fare una grande differenza, ma è importante ricordare ciò che abbiamo detto prima: la tecnica di guida viene prima di tutto.

Se non padroneggiamo i punti di staccata, le traiettorie e non manteniamo una certa coerenza giro dopo giro, nessun dato o regolazione potrà portarci davvero al livello successivo.

Quando la tecnica è solida, allora sì che la telemetria e il setup diventano armi potentissime.

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